Ricordo di Pio d’Emilia
I saggi pubblicati sulla rivista dell’AREL
La scomparsa di Pio d’Emilia – avvenuta a Tokyo il 7 febbraio 2023 – giornalista di razza, uomo curioso e versatile, ha colpito il mondo dell’informazione e tutti coloro che avevano avuto modo di conoscerlo e apprezzarlo. Collaboratore della rivista dell’AREL da circa un decennio, ci ha guidati attraverso il Giappone e l’Estremo Oriente con i suoi saggi colti ma mai astratti, che mettevano insieme il passato, anche remoto, con la strettissima attualità, frutto della profonda conoscenza delle società e dei tempi sui quali scriveva. Dei reportage tra ieri e oggi, con uno sguardo su domani.
Nel numero della rivista dedicato alla parola “Progresso” (1/2014) aveva descritto quello che definiva “l’impero delle contraddizioni”, il suo amato Giappone, affermando che “i giapponesi sono sicuramente più ricchi di cent’anni fa, ma forse meno ‘benestanti’ di dieci anni fa. Sicuramente, meno felici”.
In “Donne” (2/2014) aveva raccontato l’evoluzione della condizione femminile, una “emancipazione sotto traccia” ma inarrestabile. Emblematico il titolo: Sayonara, madama Butterfly”.
“Come conciliare la delicata bellezza degli ukiyoe, la leggerezza degli haiku, con il massacro di Nanchino e gli esperimenti umani condotti in Manciuria da un gruppo di medici folli, che iniettavano i bacilli della peste nel corpo dei prigionieri di guerra?” si chiedeva in “Violenza” (1/2015) e spiegava che sì, la realtà giapponese concilia l’inconciliabile, e affrontava anche il tema dei suicidi rituali e non solo, visto che in Giappone avvengono suicidi al ritmo di uno ogni venti minuti.
Tema che torna, quello del suicidio, in “Ragione” (3/2016), dove Pio d’Emilia scrive che esso è “un crimine contro Dio, in Occidente; una delle tante vie verso la salvezza, l’espiazione, la purificazione, per la maggior parte dei giapponesi”.
In “Normalità” (2/2017) aveva scelto di occuparsi della Corea, attraverso le interviste a tre donne: una coreana del Nord, una del Sud e una della comunità zainichi, che vive a Tokyo.
La jiyuu, la libertà declinata in giapponese, e la sua percezione nel paese nipponico, è stato l’oggetto di analisi del saggio pubblicato nel numero 1/2018) dedicato, appunto, a “Libertà” (1/2018). “I giapponesi sono ormai cittadini maturi, gente colta e intelligente – scriveva – difficilmente potrebbero seguire il richiamo del revanscismo”.
Di nuovo la Corea è la protagonista dell’articolo su “Tregua” (3/2018), molto più storico e politico rispetto all’inchiesta sopracitata.
In“Straniero” (2/2019) affrontava, anche attraverso riferimenti personali, il tema scottante del “sedile vuoto” (razzismo o timidezza?), che colpisce gli stranieri ma che può riguardare anche gli stessi giapponesi: una forma di discriminazione “frutto di secoli di sakoku (paese chiuso)”.
Chi è, da dove viene e come si reagisce alla minaccia è stato l’argomento dibattuto in “Nemico” (3/2019), una sorta di excursus storico con un focus sulle conseguenze, anche psicologiche, della sconfitta giapponese nella Seconda Guerra Mondiale.
“Ciò che si vede non c’è. Ciò che non si vede c’è” scriveva in “Piazze” (1/2020), analizzando “l’assenza di piazze”, intendendo lo spazio “agorà, centro vitale del paese, villaggio, città o megalopoli che sia”.
“Giappone, la gerarchia degli uguali” era il titolo dell’ampio saggio scritto per “Uguaglianza” (1/2021), dove spiegava che nonostante esistano undici, se non di più, modi per esprimere il concetto, in realtà “la Costituzione giapponese, che irradia dal suo testo valori di completa uguaglianza, a prescindere da genere, censo, razza e religione, si applica esplicitamente solo ai giapponesi: gli stranieri sono esclusi dalle sue garanzie. E per ‘stranieri’ non s’intendono solo i residenti di breve o medio periodo”.
In “Rivolta” (2/2021) è il dramma della Birmania e la sua storia sanguinosa a fare da motivo conduttore a un racconto che a Pio, che aveva incontrato Aung San Suu Kyi, stava molto a cuore.
“Spesso mi chiedono quale sia l’essenza del Giappone: la risposta è semplice. Non c’è”. Incominciava con la citazione del filosofo giapponese Takeshi Umehara l’articolo scritto per “Disordine” (1/2022), un viaggio affascinante nel costume e nelle credenze di una società in cui ordine e armonia sono fondamentali, ma in cui gli “incidenti” possono essere “provocati dai fantasmi”.
Era pronto – ce lo aveva detto – a scrivere ancora per noi, a raccontarci il suo Giappone, il suo Oriente col suo sguardo acuto e intelligente.
Ci mancherà moltissimo.